martedì 20 luglio 2010

PRÈT À PARLER


"Aprirò un negozio. Un negozio di parole. E allora sarò veramente felice."

È un negozio piccolo. Una porta di legno, una modesta vetrina, due alti scaffali alle pareti e uno basso in mezzo alla stanza. E il bancone con la cassa, accanto alla quale una botola porta in un magazzino piuttosto ampio. In vetrina ho messo un enorme dizionario, aperto più o meno a metà, con ghirlande di parole che si aprono a ventaglio fino al soffitto. La tenda di nomi, aggettivi e verbi nasconde l'interno alla vista, ma io da dietro la cassa, tra un suffisso e una congiunzione vedo il volto di ogni passante. Per chi trova la porta chiusa ho montato una cassetta delle lettere di quelle vecchio stile, smaltata di rosso. I clienti lasciano lì le ordinazioni particolari o le richieste difficili. Proprio accanto alla cassetta delle lettere, c'è una targa di ceramica con il nome del negozio scritto a mano: "Pret à parler". Non ne sono molto orgogliosa, ma pensavo di avere più tempo per pensarci meglio e per trovare qualcosa di più mio. Mi consolo pensando che, se non geniale, se non altro è abbastanza chiaro. Sugli scaffali sono disposti tanti barattoli di vetro dai tappi colorati, con la loro bella etichetta scritta a mano con il mio inchiostro preferito. Nero, al profumo di violetta. Quando c'è il sole la luce rimbalza sugli oggetti disegnando sul pavimento delle piccole opere d'arte fatte di arcobaleno.
Sul mobile centrale cerco di mettere la merce più venduta oppure le offerte speciali o le cose in promozione. Ho uno speciale "Pacchetto Turisti", con le mille parole base dell'italiano. Ne vanno matti soprattutto i tedeschi, i nordeuropei in generale. Gli piace masticarle, una ad una, far passare le parole tra lingua e palato, lasciare che si facciano un giro tra i denti e poi ingoiarle o aspirarle, con il loro accento spigoloso di persone pratiche.
Arrossati dal nuovo sole e sorridenti, si divertono cimentandosi con cose come:
- Signorina lei appare splendida stasera.
Italiano uguale galanterie, mi piace l'uso che ne fanno, se lo meritano il loro kit.
Un'altra combinazione che va molto è "con trecento congiuntivi, in regalo l'equivalente in condizionali". A volte vedo un po' di reticenza nei nuovi clienti quando devono ammettere di aver bisogno di un verbo declinato correttamente, o del plurale giusto, spesso fingono che sia per qualcun altro.
- Sa, mio figlio ha compito in classe e pensavo di fargli questo regalo...
Io sorrido e dico sempre che oggi me lo hanno chiesto già tre persone; i clienti si rilassano se sanno di desiderare un best-seller.
Gli eruditi sono degli ossi duri, scoprono parole impossibili e vorrebbero poterle sfoggiare con piena cognizione di causa. E allora vengono da me, chiedendomi se per caso ho un "APOTROPAICO" di là in magazzino. A volte sono fortunata e ne ho uno fresco fresco, ma molto più spesso devono ordinarmelo e io per procacciarmelo perdo intere giornate in giro per conferenze e convegni. Con quello che mi faccio pagare poi, il solo costo del barattolo, è veramente un investimento svantaggioso. Però il piacere di vedere quel vecchietto con la barba a punta andarsene borbottando appagato "E dunque il gesto APOTROPAICO nella società moderna permane, caricandosi di bla bla bla..." vale senza dubbio lo sforzo fatto.

Sono brava a intuire ciò di cui ha bisogno chi entra. A volte le persone devono, o forse vogliono, essere guidate per fare la richiesta giusta. Oggi, pochi minuti dopo aver aperto è entrato un uomo, un giovanotto sulla trentina, un nervoso masticatore di unghie e pentimenti. Mi ha balbettato qualcosa di non molto chiaro riguardo a una lite con una donna. Doveva trattarsi di uno scontro appena svegli, i peggiori, i più recriminanti, quelli dall'alito pessimo. Gli ho incartato un mazzo di "SCUSA", con qualche "PERDONAMI" qua e là.
In amore meglio essere semplici e diretti.
Ieri invece ho venduto un coraggiosissimo "ANCHE IO", infilato in un bel cofanetto di velluto rosso. La ragazza lo ha stretto forte tra le dita, lo ha come caricato di sè e poi lo ha fatto sparire nella tasca del cappotto andandosene con un passo un po' più deciso di quello con cui era entrata.

Molti clienti si aspettano troppo dalla mia merce. Dopo aver venduto un "MAMMA" ad un giovanissimo papà, che voleva fare un regalo a sua moglie donandole la prima parola di suo figlio, è entrato un ragazzino di una decina d'anni. Si è guardato un po'intorno, ha gironzolato per il negozio tamburellando con le dita sul coperchio di quasi ogni barattolo. Mi dispiace dirlo ma già a quella età aveva l'aria arrogante ed annoiata di tanti adulti, di quegli adulti che credono di essere importanti perchè sul loro biglietto da visita c'è scritto "GENERAL". Si avvicina alla cassa, appoggia cinque euro sul bancone e dice: - Voglio un "GIURO", e che sia convincente." La mia politica è di spiegare le regole ai clienti come lui, ma per questa volta mi giro, prendo un "GIURO" da sotto la cassa, ne ho tantissimi, e glielo incarto in un foglio di giornale. Con uno sguardo carico di compassione gli consegno ciò che mi ha chiesto e gli dico: - È orribile quando un bambino non viene creduto ingiustamente". Lo vedo fare un ghigno, so che pensa di avere la vittoria in pugno. Il suo giurare non convincerà nessuno, anzi verrà a malapena percepito. Con le parole funziona così. Sono come dei croissant, per dare il meglio vanno riempite di cose buone, altrimenti non le nota nessuno. Se chi compra un "TI AMO" non lo farcisce di amore, quel ti amo svolacchierà pigramente di fronte al naso dell'acquirente e poi andrà via, evitando accuratamente le orecchie dell'interlocutore.

Apro il negozio un solo giorno a settimana, uno me lo tengo per me, e gli altri cinque vado a caccia. Preferisco lavorare all'aria aperta, ma ci vuole moltissimo tempo e soprattutto quando la giornata è molto fredda o piovosa e c'è poca gente in giro, mi aiuta moltissimo la televisione. Prima ho detto che vado a caccia, forse è più corretto chiamare le mie operazioni di raccolta, dei "salvataggi".
Io recupero tutte le parole pronunciate e non sentite, le menzogne, le idiozie, i giudizi affrettati, le ruffianate. Le prendo una per una, ogni articolo, ogni preposizione, le lavo, restituisco loro la loro dignità. Le preparo per un discorso onesto, per un sentimento puro. La merce non mi manca purtroppo o per fortuna. Con qualche intervista ai politici e un paio di stacchi pubblicitari riempio buona parte dei miei scaffali. A volte per ridare il giusto valore alle parole raccolte in un giorno ci vogliono mesi, ma alla fine c'è sempre qualcuno che le compra e io sono felice.

Non entusiasta nè contenta, non sono nemmeno gioiosa, non io. Io sono FELICE.


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